D - Che cosa rappresentava per te la musica quando hai cominciato e che cosa rappresenta oggi, a distanza di quasi trent'anni?

R - Innanzitutto, toccandomi... posso dire di avere un gran culo a essere ancora in pista! Parlando seriamente ti rispondo: "la stessa cosa!". Il piacere di cantare e suonare la musica popolare, di dividerla con altri e di "comunicarla al mondo" è ugualmente grande, oggi come allora. Il mio approccio nei suoi confronti corrisponde al mio approccio alla vita, non ho mai fatto distinzioni. La musica per me è sempre stato tutt'uno col vivere, col respirare, col mangiare, col pensare, non dico col bere perché... sarebbe troppo facile!
Anche se dal punto di vista professionale, del linguaggio soprattutto, molte cose sono cambiate (dovrei preoccuparmi se non fosse così), resta il fatto che le motivazioni di fondo sono rimaste le stesse. Oggi come allora, per esempio, non riesco a pensare alla musica in chiave di semplice divertimento (per quanto lo consideri fondamentale!). Per stare nel mio campo, quello del mondo popolare, questo significa che non potrei non evidenziare, insieme alle mille allegrie che gli appartengono, le"miserie", le sofferenze, la capacità intrinseca e naturale di raccontare le ingiustizie... quelle che tanti anni fa, quando ho cominciato, mi facevano incazzare e che oggi mi fanno incazzare ancor di più, perché sono sempre le stesse, spesso peggiorate (Genova docet!). Per spiegarmi meglio, non riesco a pensare che questo strumento formidabile di comunicazione che mi ritrovo per le mani io non lo utilizzi per solleticare, svegliare, incontrare coscienze e sentimenti attorno a una comune e non banale "visione del mondo". Diceva Berthold Brecht, il famoso terzino sinistro del Werder Brema... che "parlare di alberi in tempo di guerra è un delitto"...

D - Qualcuno potrebbe pensare a una forzatura mettere insieme musica e politica a tutti i costi. Non puoi separare le due cose?
R - Potrei, se non facessi la musica che rappresenta la gente estromessa da mille secoli dai giochi del Potere, talvolta oppressa e calpestata, sempre relegata ai margini della vita sociale...

D - Per chi come me conosce te e Cantovivo da tanti anni, può venire spontaneo, dopo quello che hai detto, chiedere che fine hanno fatto le ballate piemontesi e provenzali che, soprattutto nel periodo con Donata Pinti sono state, insieme al canto corale, un vostro segno distintivo, una specie di marchio di fabbrica. Sono state soltanto una fase del tuo percorso?
R - Schematizzando molto, ma proprio molto, posso dirti che i miei Anni '70 sono stati più politici, gli '80 più folk, i '90 di ritorno al politico con più esperienza folk alle spalle. Anche se c'é un filo rosso che lega per esempio il mio primo disco cantoviviano "Canti antifascisti spagnoli" del '76 (hola!) a "Fogli Volanti", o, se vuoi, "Leva la gamba" del '79 (il disco di "folk puro" che ci ha aperto le porte dell'Europa con il Grand Prix di Montreux) a "Contro-Canto Popolare" del '96 che "il manifesto" ha pubblicato per festeggiare il cinquantennale della Liberazione in chiave folk, in parallelo al "Materiale Resistente" dei gruppi rock. Come sintesi unificante di questo percorso, oggi mi piace usare il termine "combat-folk" (che quasi certamente, proprio con "Contro-Canto Popolare" siamo stati i primi ad usare in Italia). Trovo che ci rappresenti bene. Ci tengo comunque a precisare due cose. La prima, che il repertorio "combat" di Cantovivo non comprende soltanto canzoni di denuncia e di opposizione, ma tutte le forme più importanti della cultura popolare (la ballata in primo luogo, poi la danza ecc. ecc. ), la seconda, che sul versante politico abbiamo sempre escluso le canzoni "a slogan" per far posto a quelle con taglio riflessivo, soprattutto di stampo narrativo.

D - Questo vuol dire che le ballate di cui sopra, le danze ecc. le fate soltanto più in un quadro di rappresentazione politica?
R - No, assolutamente! Se ci chiamano in un contesto adeguato, siamo ben felici di proporre un concerto esclusivamente folk. Siamo attrezzati per farlo!

D - Allora perché, se è vero che questo repertorio più tradizionale ancora vi appartiene, tu e Cantovivo, che siete stati tra i fondatori del folk revival italiano, che avete girato l'Europa dei folk festival, che avete inciso quintali di dischi, da qualche tempo vi siete defilati dal circuito più specifico del folk italiano?
R - Diciamo che la "svolta rifondarola" del '91 / '92 ci ha risucchiati a tal punto che abbiamo preso a girare come dei matti lungo tutti gli spazi e le situazioni più attrezzate e disponibili" al combat-folk di quanto, per ragioni anche un po' misteriose, non fosse il circuito del folk vero e proprio. Le nostre piazze sono state prevalentemente le Feste in rosso e di Liberazione, le manifestazioni, i centri sociali e così via. Non siamo emigrati! Neanche dal folk! Tanto è vero che in questo periodo, insieme alle produzioni realizzate col "manifesto", alle partecipazioni a compilation con Gang, E Zezi, Sepe e altri "colleghi" di questa portata, siamo stati inseriti in alcune raccolte folk non di secondo piano, come quelle della Curcio nel '90, della Fabbri nel '94, e dell'inglese Network nel 2000. E soprattutto, ci tengo a ricordarlo per ragioni anche affettive (vedi la dedica sul libro dei miei Fogli Volanti), nel '97 abbiamo collaborato con il leggendario Giancarlo Cesaroni, che sotto il prezioso marchio del suo Folkstudio romano, ci ha scelti per rappresentare il Piemonte (col cd Collage) nella collana di musica folk distribuita nelle edicole da Avvenimenti.
Detto questo, in tutta sincerità, sappi che i folk festival "classici", le feste-folk un po' mi mancano... ma vorrei che ci si venisse incontro reciprocamente... Per esempio mi piacertebbe ritornarci, tra un bal folk e l'altro, proprio per presentare i miei Fogli volanti.

D - Tu pensi che il linguaggio della tradizione, su cui tu stesso hai costruito gran parte del tuo lavoro, sia diventato inattuale?
R - Niente affatto! Si possono, in parte credo si debbano anche, cercare nuove soluzioni, ma si può anche mantenere intatto il repertorio tradizionale più radicato, purché venga collegato in qualche modo al contesto sociale attuale. L'Arcadia è finita da un pezzo... Proviamo a partire dal massimo dell'attualità: Genova e il G8. Prendiamo ad esempio Bové, l'agricoltore, il paysan chauviniste cultore della tradizione locale (cultura e coltura hanno non casualmente la stessa radice etimologica). Ebbene, Bové difende le proprie radici, ma contemporaneamente va a braccetto per Porto Alegre con i rappresentanti dell'Mst brasiliano, con gli zapatisti del Messico, con il Farc colombiano... e va a prendersi le botte a Genova con i cattolici e i marxisti internazionalisti... E' un esempio vivente del grande salto storico che la realtà, specialmente in questi ultimi mesi (e giorni!) ha messo in moto. Bisogna "non voler vedere" per non vederlo! Dopo Genova niente è più come prima. Ho tirato in ballo Bové non come nuovo riferimento politico da seguire, ma come esempio attualissimo della possibilità (per me del dovere!) di coniugare l'identità e le radici con l'"aperura al mondo". La musica folk ha in questa prospettiva una potenza di fuoco enorme. Ci sarà un motivo se nei passaggi più violenti della storia è stato proprio questo linguaggio a segnarne meglio i dettagli. Penso ai contadini mandati al macello sul Carso, ai partigiani. Non hanno forse raccontato le loro avventure, scritto le loro storie sopra le "vecchie" note dei canti popolari? Anche l'odioso sfruttamento in atto, da parte degli strateghi del consumo, dei suoi linguaggi è, se vuoi, un segno della sua attualissima energia... Certo è che unire memoria storica e attualità non è proprio facilissimo. Da un lato perché la memoria storica (oggi universalmente gettata nel cesso, salvo che dagli amici di Fini, Gasparri e Storace...) se non contestualizzata diventa un esercizio superficiale, retorico, conservatore e talvolta reazionario (appunto!), dall'altro perché il nuovo è un punto di riferimento assai "mobile".... in continua evoluzione. Per chiudere il ragionamento credo che anche i più distratti debbano rifletterci un po' su. Chi oggi pratica il folk, chi entra nella sua cultura di riferimento, per qualsiasi porta passi, non può più non decidere da che parte stare. E per farlo non è necessario, come ho già detto, che cambi repertorio: ci sono forme, modi, tempi, spazi diversi per fare una scelta di campo senza necessariamente dover cantare "Contessa" , o altre simili "boutades" d'antàn... che oggi farebbero anche un po' ridere...

D - I tuoi fogli volanti esprimono le cose che mi hai appena detto?
R - I miei fogli portano dentro il linguaggio folk perché è il mio da sempre e, in più, contengono l'idea del cantastorie, che è assolutamente popolare (con buona pace dei menestrelli più o meno "etnici" dell'area commerciale!), contengono cioè l'idea antichissima del racconto... non necessariamente per denunciare, spesso soltanto per comunicare le emozioni che l'esperienza musicale mi ha regalato.

D - Parliamo allora meglio di questi Fogli Volanti
R - Per quei due o tre lettori (stranieri...) di FB che non sappiano cosa sono i fogli volanti, ricordo che sono, o meglio, erano quei foglietti con i testi delle canzoni che i cantastorie vendevano nelle piazze, da un lato per guadagnarsi la sopravvivenza, dall'altro per far circolare la propria musica. E' da questi esempi di stampa poverissima che ho preso lo spunto per questo progetto che contiene tutta la mia passione per la tradizione (l'ha notato anche il recensore del cd della rivista non propriamente "folkettara" Jam) e contemporaneamente dà sbocco concreto alla mia vena più esplorativa e creativa.
Non mi sento un cantautore, anche se da più parti questo mio lavoro è stato letto in questa chiave. Un cantautore comincia a scrivere a diciott'anni, non attorno ai cinquanta! Semplicemente ho sentito forte l'impulso di raccontare...

D - Perché il racconto è importante?
R - Io credo che da Omero, passando per Bob Dylan per arrivare ad... Alberto Cesa (scherzo, ovviamente!) i cantastorie siano sempre stati gli unici in grado di strappare brandelli di verità a una storia ufficiale sempre (mal) raccontata dal Potere. L' ho sempre pensato. Ancor di più da quando ho avuto il piacere di apprezzare personalmente gente come Nuto Revelli, Fabrizio De André... Pensa che qualche giorno fa a "darmi ragione" ci ha pensato niente meno che Jorge Amado, in un'intervista televisiva registrata poco tempo prima di morire (purtroppo non ho avuto il piacere di conoscerlo di persona!), nella quale diceva semplicemente, da vecchio comunista libero, indomito e non pentito (fantastico!) che la forza politica del suo pensiero si era moltiplicata di efficacia da quando aveva cominciato a togliere dai suoi romanzi qualunque forma di indicazione ideologica sul "che dire", "che fare", "che pensare"... lasciando tutto al racconto nudo e crudo.

D - Qual'è il tuo pubblico abituale?
R - Quello più politicizzato ovviamente, ma non solo. Molti dell'area del folk mi hanno seguito negli ultimi passaggi, perfino alcuni ballerini... Ma la cosa più bella è stata vedere sotto il palco in prima fila, fianco a fianco, partigiani novantenni e bambini di dieci anni.... Più o meno quattro generazioni unite dalla nostra musica.

D - Credi che i più giovani ti capiscano?
R - Ne ho le prove! Mi scrivono e-mail, comprano i miei dischi. E non soltanto quelli dei centri sociali, o i rifondaroli, o i "red bloks"... ma molti ragazzi "normali", semplicemente curiosi o attratti dalla mia musica, bontà loro! D'altra parte non mi sono mai sentito generazionale. Ho avuto la fortuna di riuscire a vivere da protagonista tutti i passaggi più importanti degli ultimi decenni della nostra storia, ma non mi sono mai sognato di appenderci su il cappello. E questo i giovani lo capiscono e lo apprezzano.

D - Qual'è la poetica di Alberto Cesa?
R - Bella domanda! Provo a risponderti così: io avrò sicuramente milioni di difetti, ma credo che il trucco della mia sopravvivenza e del mio piccolo successo artistico, stia nella mia sincerità, oltre che nella voglia immutata nel tempo di guardare, attraversare, affrontare, raccontare le cose del mondo senza perdere mai la capacità di emozionarmi.

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Sabato 27 Luglio 2024