IL VIOLINO POPOLARE
Alberto Cesa

La vicenda di questo strumento, così ricca di esperimenti, di combinazioni e fusioni di forme, di ampi e liberi tentativi prima di assestarsi nel tardo ‘500 nella configurazione attuale, non ha precedenti nella storia della musica. Dagli archetipi dell’antico oriente alla perfezione dei modelli Stradivari, passando per le multiformi vielle medievali. Il violino ispira i musicisti, narratori, poeti di ogni luogo ed estrazione. “Uno strumento che emana arte al suo semplice mostrarsi – scrive Alberto Cantù – e nel far capo in sintesi straordinaria a legni e vernici pregiate le cui alchimie sono segreto di bottega…Uno strumento refrattario a criteri industriali e piuttosto assoggettati ai prodigi creativi di liutai dall’intuito geniale…”
Il cammino evolutivo del violino corrisponde al lungo processo di acutizzazione del suono (con conseguente rimpicciolimento) delle antiche “viole da braccio”. I primi modelli vengono fatti risalire alle scuole di liuteria di Brescia e di Cremona, guidate da Gaspare da Salò e da Andrea Amati. Ma c’è una teoria del grande studioso Emanuel Winterntz, che offre alcune chances al Piemonte. Nel suo saggio di iconografia e iconologia strumentale “Gli strumenti musicali e il loro simbolismo nell’arte occidentale”, muovendo dall’analisi degli strumenti raffigurati in alcune opere del primo ‘500 del pittore valsesiano Gaudenzio Ferrari e dal suo allievo Bernardino Lanino (“La Madonna degli aranci” in S.Cristoforo a Vercelli, L’affresco della Cappella della Madonna di Loreto a Roccapietra presso Varallo vercellese, l’”Assunzione” in S.Sebastiano a Biella) il Winternitz sostiene che: “…il grande maestro bresciano Gaspare da Salò nacque soltanto intorno al 1535; i suoi violini più remoti sono datati intorno al 1564. Invece i violini nei dipinti di Gaudenzio Ferrari e di Bernardino Lanino indicano un’altra radice, notevolmente anteriore e più occidentale, forse perfino piemontese…”A prescindere da questa, come da altre ipotesi, sappiamo con certezza che il violino ha avuto da sempre un grande sviluppo nella nostra regione, esercitando un grande fascino anche tra i suonatori popolari.
E proprio su questo versante abbiamo numerose indicazioni: nelle Valli di Lanzo era prima-voce della musica “’d bosch” (musica di legno: banda che utilizzava esclusivamente strumenti di legno); nella Val Varaita (Cn) è stato un lungo animatore di “gigo”, “courento” e altre danze occitane. Un recentissimo libro edito dall’Asociazione “Soulestrehl”, curato da Giampiero Boschero, studioso della tradizione occitana, propone una lunga vicenda di un violinista popolare di Sampeyre, “Juzep Da’ Rous” (all’anagrafe Giuseppe Galliano, scomparso dieci anni fa all’età di 92 anni) depositario di un immenso patrimonio musicale. “Juzep da’ Rous – dice Boschero – è stato suonatore ufficiale della “Daìlo di Sampeyre” dal 1905 al 1972; aveva imparato da due maestri popolari, secondo un’usanza molto diffusa nella valle ai suoi tempi: soltanto nella borgata Caldane di Casteldelfino su meno di cento abitanti, si ricordano non meno di quattro violinisti. Suonava col violino appoggiato al petto, come la maggior parte dei suonatori popolari, e utilizzava una tecnica che faceva largo uso della doppia corda e del bordone”. Tramite la ricerca di Boschero e le trascrizioni del violinista Maurizio Padovan ritroviamo così, accanto alle più consuete gigo, courento e countrodanso, la boréo de St. Martin, la bouréo vieio, la mesquio, alcuni balèt, lou calissoun, la trumpézo, l’éspouzin, la tolo, la cadrìo de Sampeyre, la gamaoucho,…”Juzep da’ Rous – tiene a sottolineare Boschero – non apparteneva alla categoria dei “vinti” raccontati da Revelli, ma esprimeva con naturalezza una grande dignità umana e culturale”.
In molte parti d’Italia, nell’Emilia e in Romagna ad esempio, il violinista popolare si collocava socialmente, a differenza dei suonatori di strada, in un ruolo di primaria importanza. Racconta Stefano Cammelli nel suo libro di ricerca “Musiche da ballo, balli da festa” dedicato ai suonatori tradizionali della musica bolognese, che il suonatore di violino era il “polo d’attrazione delle feste, conoscitore di tutti gli intrecci amorosi che in esse si ordinavano, frequentatore anche delle frazioni più lontane…il suo ruolo sociale fu qualcosa di più di quello di un semplice strumentista, divenne strumento di elevazione sociale e di rottura dell’isolamento che come cappa gravava su ciascuna abitazione contadina”.
Se nella musica colta, per quanto riguarda il violino c’è un preciso riferimento nell’estro rivoluzionario di Paganini, nel mondo popolare c’è stato uno sviluppo di forme, tecniche e stili legate alle varie esigenze culturali e ambientali.
In Savoia, nella valle del Maurienne, si sono ritrovati violini con caratteristiche simili agli altri oggetti domestici costruiti dai contadini. La “cytira”, il violino che nella Val Resia in Friuli, suona in coppia con la “bunkala” (un violoncello a tre corde, suonato senza tastatura delle dita con un robusto archetto per sottolineare ritmicamente le danze) presenta caratteristiche originali: esprime la melodia con la sola corda più acuta usando le altre come bordone. Un principio simile, seppure con più corde, lo troviamo nella “nikel arpa” svedese, una specie di ghironda ad archetto anziché a ruota.
Il violino è dunque strumento fondamentale della tradizione popolare in ogni parte del mondo: dalla musica tzigana a quella norvegese, dall’Irlanda all’Argentina, dal country al cajoun…


pubblicato dal quotidiano STAMPA SERA

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Mercoledì 24 Aprile 2024